martedì 5 luglio 2011

POESIE

LA NOTTE ERA UN LUNGHISSIMO MARE

Accadeva dopo cena
appena dopo le ventuno
al rintocco dell'ultimo sprazzo.
Ci si chiamava per nomi stentorei
Fidia, Asclepiade.
Il tatto arroventato sui fianchi
le labbra perfette all'umido corallo.
Seguivamo vestiboli
che aprivano a bifore più aggraziate.
Soffocati in un nembo i sospiri
sceglievamo Kavafis da leggere al buio.
La notte era un lunghissimo mare.

LO SPAGO


Riesco ad aprire la porta
solamente se qualcuno
s'improvvisa superbo
e il dolce ticchettio mi riporta
alle piume di un incendio.
E così è per le finestre
i poggioli, le pareti.
Troppo lungo è lo spago
che mi separa dal bacio.

A MIO FIGLIO CHE NON HO

Vedo mio figlio passare.
E' un sogno
Un progetto un po' strano.
Vedo acque lisciarsi
Roteare su se stesse
In splendidi vuoti.
Ore ed ore passate a pensare
A sfogliare.
Anni a sperare.
Gessi, lettere, vuoti di memoria
Che inneggiano rami.
Cosa fare ora che frusto i miei panni?
Il colore dei campi non c'è
E non c'è il pennello
Il giallo secchiello che sorride alle larve.



NATURA MORTA

Se da me a te
L'anima è obliqua
Se in qualche spazio
Tu ti muovi
Giulivo
Rifugiandoti in contesti
Sovrumani.
Se custodisci il tempo
L'assetto d'ogni cosa
Consacra
Queste pere piene d'ansia
Questa mela putrefatta
Questo scarto di lattuga.



SUL CARSO


Schiaffi di sera
ovunque poso i miei passi.
E procedo a ritroso
schivando tonfi di moschetto.
Un masso crivellato
non più d'aria
mi porta dritto al fiume.
Devo giungere al greto
prima delle api.
C'è un fiore che mi aspetta.

"SOPRA LA TERRA NERA"

DEVO TORNARE A RICOMPORMI


Devo tornare a ricompormi
in una cesta di silenzio
o in qualche scorza prodigiosa.
Anni vissuti senza tregua
voltando gli òmeri al mattino
in un fluire interminabile
di soli senza soli
di forze impavide e sghembe.
Avrei già gioito
se avessi bussato alle cortecce
sarei forse già propaggine.
Ma ora che son qui
acceso in ombra fra gli ulivi
con l'eco dentro il mondo
canto versi ai pettirossi.



PAURA DI DIO


Potrei morire e rifiorire
svuotarmi di lime perfette
di corpi, di resti distorti.
Morire attaccato ad un fiume
con le braccia più nere del vento.
Rinascere poi su un pezzo di gelso
in un mare o su un colosso più duro.
Ma è proprio ciò che mi spaventa
questo colosso che non conosco
questo corpo supremo fatto di firmamento
di fazzoletti d'orto
senza tempo.



SAPESSI CHE PESO


Sapessi che peso
sentirti come peso leggero
sentirti dentro
come abile prugna
inzuppata più volte
sulle urne del corpo.
Sapessi che peso
il fragile sorriso
l'assenza di parole
quegli occhi scoscesi sui vetri.
Sapessi che male
saperti sognare
scrosciante.